giovedì 19 giugno 2014

TUTELA DEI MINORI E RESPONSABILITA' DEI MAGGIORI

L’ascolto del minore nei procedimenti che lo riguardano.
Profili di diritto interno e sovranazionale nel quadro della giurisprudenza
di merito e di legittimità.
(Relazione al Seminario “L'ascolto del minore, profili giuridici ed extragiuridici"
del 28 giugno 2013, dell’Osservatorio sul diritto di Famiglia – Sezione di Pisa)

Autore: Dr. Giuseppe Mazzotta 


La definizione dell’ascolto del minore come di un istituto giuridico riproduce solo parzialmente la struttura di questo strumento di esercizio del potere giudiziario che, risulta, nel quadro dell’esperienza documentata in giurisprudenza e, più in generale, nella letteratura scientifica offerta dalla e scienze sociali e, oggi, anche dalle neuroscienze, un luogo di incontro con la storia del minore.

Questa constatazione esprime anche il motivo per il quale l’ascolto del minore trova spazio e regolamentazione nelle fonti più diverse, dal diritto sostanziale a quello processuale, in ambito civile e penale, sempre con molteplici, dirette o indirette connessioni con i principi espressi nelle fonti di diritto internazionale che, specie in ambito europeo, hanno forti e significative interazioni con la normativa di diritto interno.

Tutto questo è certamente il frutto di un’accresciuta sensibilità degli operatori del diritto per la tutela dell’interesse del minore, oltre che per un intervento dell’autorità con modalità compatibili con il rispetto del suo equilibrato sviluppo psicofisico, esposto a rilevante sollecitazione già dall’esistenza di una procedura giudiziaria oltre che, naturalmente, dalla vicenda che ne costituisce l’oggetto, il tutto con esiti che possano restituire al minore stesso la stabilità sociale e psico – emotiva che, in conseguenza di conflitti o di atti illeciti nei suoi confronti, sia stata compromessa.

Se questo è l’obiettivo, risulta allora sufficientemente chiara la ragione del così ampio e articolato quadro normativo di riferimento al quale l’ascolto del minore si riconduce, dovendosi soddisfare contestuali esigenze di uniformità di applicazione delle norme, di eguale trattamento nell’ambito delle diverse e numerose tipologie di procedimento che interessano il minore, di efficace e consapevole esercizio del potere giudiziario nel concorso di tutti coloro che operano nell’ambito della giurisdizione.

Occorre allora, da un lato, delineare un quadro normativo il più esauriente possibile, così da poter apprezzare contestualmente le molteplici esigenze sottese all’ascolto del minore, dall’altro individuare una griglia di riferimento che permetta di mantenere una percezione equilibrata delle potenzialità proprie di questo strumento processuale così da comprendere quale, caso  per caso, procedimento per procedimento, ne sia l’uso o la richiesta di uso più adeguati alle esigenze di tutela del minore coinvolto.

Rispetto alle fonti, un organico quadro di esse includerà il complesso degli atti normativi, che potrà essere utile distinguere in atti di indirizzo, sostanziali e processuali.
Con riferimento, invece, alla “griglia” che permetta di guardare all’ascolto del minore più specificamente ed in modo operativo, proprio secondo quanto emerga dal contestuale esame delle norme, essa risulta poter essere così strutturata: (1) Il possibile pregiudizio al minore derivante dal ricorso stesso all’ascolto; (2) le modalità da adottarsi nei casi in cui l’ascolto venga impiegato; (3) le interazioni dell’ascolto con il processo in cui esso viene disposto; (4) le potenzialità e i limiti nell’uso dei provvedimenti che si adottano con il contributo dell’ascolto del minore; (5) la possibile non coincidenza tra l’interesse del minore e quanto dal medesimo manifestato.

Le Fonti
Gli atti di indirizzo aventi ad oggetto l’ascolto del minore, contenuti nella normativa di rango sovranazionale, si sono svolti all’interno di un processo storico e culturale che, tra proclamazioni di principio e normative con finalità precettiva finalizzata ad un recepimento delle stesse nelle normative nazionali, iniziato alcuni decenni or sono, è ancora oggi in pieno svolgimento.
E’ del 27 maggio 1991  la legge n. 176 di “RATIFICA ED ESECUZIONE DELLA CONVENZIONE SUI DIRITTI DEL FANCIULLO” firmata a New York il 20 novembre 1989, la quale , all’art. Art. 12 prevede che: «Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità.
A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale
».
A tali risalenti e solenni dichiarazioni di principio fanno riscontro strumenti normativi più agili e operativi, quali, ad es., le “LINEE GUIDA DEL COMITATO DEI MINISTRI DEL CONSIGLIO D’EUROPA PER UNA GIUSTIZIA A MISURA DI BAMBINO ADAPTÉE AUX ENFANTS” adottate dal Consiglio d’Europa il 17 novembre 2010:  si noti che si utilizza, nella lingua ufficiale francese (insieme ovviamente all’inglese) la parola enfants e non la parola mineur. Le Linee Guida sono state «per una giustizia a misura di minore come promessa di giustizia e di amicizia nei confronti di ogni bambino. Ora è il momento di compiere ogni sforzo necessario per onorare tale promessa».
Ma l’evento più incisivo in ambito europeo, anche dal punto di vista della tutela del minore, è costituito dal trattato firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007, entrato in vigore il 1 dicembre 2009, dettante MODIFICHE DEL TRATTATO SULL'UNIONE EUROPEA, a sua volta approvato a Nizza il 11 dicembre 2000, il cui articolo 6 veniva sostituito dal seguente: «l'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati». Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1 dicembre 2009, sebbene non abbia incorporato il testo della Carta dei diritti, la include sotto forma di allegato, conferendole così carattere giuridicamente vincolante all'interno dell'ordinamento dell'Unione, secondo quanto disposto dal citato articolo 6. Pertanto le Istituzioni dell'Unione, in tutte le loro azioni o iniziative legislative, devono tener conto dei diritti civili, politici, economici e sociali dei cittadini europei. E, andando a verificare quanto prevede la CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UNIONE EUROPEA (2000/C 364/01) approvata a Nizza, riscontriamo che, all’art. 7, in ambito di “RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E DELLA VITA FAMILIARE” prevede che «Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni».
La nostra Carta Costituzionale aveva largamente anticipato questa “svolta europea” sugli ordinamenti nazionali laddove, all’art. 117, prevedeva, e prevede, che «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». La menzione della fonte costituzionale è ancor più rilevante ove si consideri che, prima del trattato di Lisbona, la Convenzione europea sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e sul ristabilimento dell’affidamento dei minori, firmata a Lussemburgo, 20 maggio 1980, all’art. 15 prevedeva «Before reaching a decision under paragraph 1.b of Article 10, the authority concerned in the State addressed: shall ascertain the child's views unless this is impracticable having regard in particular to his age and understanding»  e il Parlamento Italiano, con legge 15 gennaio 1994 n. 64, ratificava ed dava esecuzione, contestualmente, alla Convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell'affidamento, aperta alla firma a Lussemburgo il 20 maggio 1980, e della convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, aperta alla firma a L'Aja il 25 ottobre 1980; norme di attuazione delle predette convenzioni, nonché della convenzione in materia di protezione dei minori, aperta alla firma a L'Aja il 5 ottobre 1961, e della convenzione in materia di rimpatrio dei minori, aperta alla firma a L'Aja il 28 maggio 1970.
Proprio la convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 CONVENZIONE aperta alla firma a l'Aja il 25 ottobre 1980 SUGLI ASPETTI CIVILI DELLA SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DI MINORI prevede, all’art. 13 che «L’autorità giudiziaria o amministrativa può altresì rifiutarsi di ordinare il ritorno del minore qualora essa accerti che il minore si oppone al ritorno, e che ha raggiunto un'età ed un grado di maturità tali che sia opportuno tener conto del suo parere»  mentre, la Convenzione europea sul rimpatrio dei minori, sempre firmata all’Aja, il 28 maggio 1970, prevedeva, all’art. 5 che «No decision shall be taken concerning a request for repatriation until the minor, if his capacity for discernment allows, has been heard in person by a competent authority in the requested State. (…) This ascertainment of views shall not take place in so far as it is likely to prejudice the interests of the minor by reason of the delay which it may cause».
L'art. 12, secondo comma della convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 e l'art. 13, secondo comma della convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori non prevedono l'indiscriminata possibilità per il minore di esprimere la sua opinione su ogni questione che lo interessa, ma subordinano il suo ascolto all'apprezzamento discrezionale dell'autorità giudiziaria, tenuta a valutare la sua capacità di discernimento. La convenzione di Lussemburgo sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori del 20 maggio 1980 e la convenzione dell'Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori del 25 ottobre 1980, pur mirando entrambe a combattere i trasferimenti illeciti dei minori, hanno contenuti e funzioni diversi. «La convenzione di Lussemburgo ha per presupposto l'adozione in uno Stato contraente, anteriormente al trasferimento del minore, di una decisione esecutiva sull'affidamento, ovvero l'adozione in uno Stato contraente, successivamente al trasferimento, di un provvedimento sull'affidamento dichiarativo dell'illiceità di tale trasferimento. La convenzione dell'Aja ha per scopo esclusivo quello di tutelare l'affidamento del minore quale situazione di mero fatto da integrare con l'immediato ritorno dello stesso nel suo Stato di residenza abituale, a prescindere dall'esistenza o meno di un titolo giuridico di affidamento»

Volendosi ricavare una prima conclusione da questo sommario esame della normativa sovranazionale e delle sue interazioni con quella di diritto interno, si può ragionevolmente affermare che ci si allontana da quell’approccio adultocentrico, che considerava i bambini unicamente come destinatari di un intervento protettivo: adesso sono essi qualificati come soggetti chiamati ad esprimersi per corroborare la conoscenza dell’autorità chiamata ad adottare decisioni che entrano nel quadro delle loro relazioni affettive. Peraltro l’audizione da parte dell’Autorità Giudiziaria si presenta, per sua natura, inizialmente asimmetrica e adultomorfa, ad es., sotto il profilo del linguaggio e, soprattutto per la prospettiva funzionale dei soggetti che vi partecipano: per l’autorità l’audizione è strumento conoscitivo, per il minore è un’esperienza rilevante sul piano educativo esattamente come ogni altra esperienza di partecipazione alla vita degli adulti.


Queste considerazioni esplicitano l’opportunità, non solo sul piano formale, dell’adozione del termine “ascolto” preferibile rispetto al più ristretto termine “audizione”: il bambino (child) entra in contatto con l’autorità giudiziaria che dovrà decidere insieme o al posto dei suoi genitori, si rapporta ad un soggetto che non conosce ma che comunque entra necessariamente nel suo privato personale, utilizza un linguaggio e un codice di comunicazione che devono necessariamente essere decifrati e con i quali l’autorità dovrà coordinarsi, eventualmente, nei limiti del possibile, utilizzandoli anch’essa. In conclusione: per ascoltare adeguatamente il minore occorre procedere dalla logica considerazione che è il minore per primo ad ascoltare e questa operazione logica permette di gestire l’inevitabile asimmetria di questo incontro.
In questa prospettiva può allora più efficacemente leggersi la Convenzione Europea sull'Esercizio dei Diritti dei Minori, adottata dal CONSIGLIO D'EUROPA a STRASBURGO il 25 gennaio 1996, al Capitolo II, in tema di MISURE DI ORDINE PROCEDURALE PER PROMUOVERE L'ESERCIZIO DEI DIRITTI DEI MINORI,  nello specifico ambito dei diritti azionabili da parte di un minore, all’art. 3, prevede il «Diritto di essere informato e di esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano dinanzi a un'autorità giudiziaria, al minore che è considerato dal diritto interno come avente una capacità di discernimento vengono riconosciuti i seguenti diritti, di cui egli stesso può chiedere di beneficiare:
a) ricevere ogni informazione pertinente;
b) essere consultato ed esprimere la propria opinione;
c) essere informato delle eventuali conseguenze che tale opinione comporterebbe nella pratica e delle eventuali conseguenze di qualunque decisione
».
Così mostra di vedere anche la Corte Europea dei Diritti Dell’Uomo (quarta sezione), con la sentenza in data 8 luglio 2003, che, con riferimento alla sentenza Sahin c. Germania, n. 30943/96, ha affermato che la violazione sostanziale è consistita nel mancato ascolto dei punti di vista del minore e ha precisato che il giudice nazionale avrebbe dovuto adottare importanti misure atte a garantire il contatto diretto con il minore, potendosi, solo in questo modo, accertare l’interesse superiore di quest’ultimo.

E, più recentemente, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza 21 ottobre 2009, n. 2238  ha richiamato il diritto incoercibile dei minori ad essere ascoltati in quanto destinatari del provvedimento richiesto al giudice.

Il progresso rilevante documentato dalla letteratura giuridica citata può esprimersi nel senso che ogni espressione del fanciullo, se adeguatamente “letta”, comunica sempre il bisogno di avere uno spazio personale nelle decisioni che lo riguardano e, quindi, di essere realmente protetto. Dal punto di vista del minore l’ascolto è un’esperienza educativa sulla quale necessariamente sintonizzarsi.


In questo variegato quadro offerto anche solo da questo primo scorcio di letteratura giuridica, si ricavano, complessivamente, alcuni punti fermi ed alcune contestuali criticità, che assai spesso possono interagire tra loro:
1)    l’originalità dell’istituto processuale, la cui natura è difficilmente assimilabile a quella di altri istituti processuali;
2)    la molteplicità dei procedimenti civili che hanno a oggetto (anche) diritti della persona minore di età, che si diversificano anche per competenza del giudice, per composizione dell’organo giudicante e per rito adottato;
3)    la peculiarità dell’oggetto della tutela dei procedimenti che riguardano persone minori di età caratterizzati dalla preminenza del criterio del suo superiore interesse;
4)    l’eterogeneità delle fonti normative e l’utilizzazione di termini diversi (audizione, ascolto, sentire, ecc.) per indicare il medesimo istituto;
5)    la difficoltà di congegnare le modalità di ascolto della persona minore di età coordinando la sua vulnerabilità e la conseguente tutela rafforzata con i principi del contraddittorio e i diritti della difesa;
6)    l’inadeguatezza di mere ed esclusive competenze giuridiche in chi ascolta il minore di età.

Delineato questo primo articolato orientamento per la sua lettura, vediamo adesso l’istituto dell’ascolto così come presente nella nostra legislazione, civile e penale, sostanziale e processuale.
La legge 4 maggio1983 n. 184, in tema di diritto del minore ad una famiglia, prevede: all’art. 1 che «L'affidamento familiare è disposto (…), sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento», all’art. 7, secondo comma, che «Il minore, il quale ha compiuto gli anni quattordici, non può essere adottato se non presta personalmente il proprio consenso, che deve essere manifestato anche quando il minore compia l'età predetta nel corso del procedimento»; all’art 10, 5 comma, che «deve inoltre essere sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento»; all’art. 15.  2 comma, che «devono essere, parimenti, sentiti il tutore, ove esista, ed il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento»; all’art. 22, comma 6, che «il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento (…). Il minore che abbia compiuto gli anni quattordici deve manifestare espresso consenso all'affidamento alla coppia prescelta»; all’art. 25 che «sentiti i coniugi adottanti, il minore che abbia compiuto gli anni dodici e il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, il pubblico ministero, il tutore e coloro»; all’art. 45, comma 1, che «nel procedimento di adozione nei casi previsti dall'articolo 44 si richiede il consenso dell'adottante e dell'adottando che abbia compiuto il quattordicesimo anno di età» e, al e comma 2, che «se l'adottando ha compiuto gli anni dodici deve essere personalmente sentito; se ha una età inferiore, deve essere sentito, in considerazione della sua capacità di discernimento».

Il codice civile, all’art. 315-bis, comma terzo, in materia di STATO GIURIDICO DELLA FILIAZIONE, stabilisce che «Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano»; l’art. 316, comma 5, in tema di ESERCIZIO DELLA POTESTÀ DEI GENITORI, che «Il giudice [disp. att. c.c. 38], sentiti i genitori ed il figlio, se maggiore degli anni quattordici, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell'interesse del figlio e dell'unità familiare»;

All’art. 321, in tema di NOMINA DI UN CURATORE SPECIALE, è previsto che questa possa avvenire anche «su richiesta del figlio stesso».

Per la SCELTA DEL TUTORE è invece previsto all’art. 348 «Il giudice, prima di procedere alla nomina del tutore, deve anche sentire il minore che abbia raggiunto l'età di anni sedici»

L’art. 250, comma 4, in ambito di RICONOSCIMENTO dispone che «il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l'audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento».

Infine, sempre ne codice civile, la norme operanti in ambito di separazione dei coniugi e di scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio:

l’art. 155 – sexies, introdotta dall'art. 1, L. 8 febbraio 2006, n. 54, in tema di POTERI DEL GIUDICE E ASCOLTO DEL MINORE e che, al primo comma, stabilisce che «il giudice dispone, inoltre, l'audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento» e, al secondo comma, che «qualora ne ravvisi l'opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli».

L’art. 6, comma 9 della legge 01 dicembre 1970 n. 898, in tema di DISCIPLINA DEI CASI DI SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO, è previsto che «I provvedimenti possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed emessi dopo l'assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d'ufficio dal giudice, ivi compresa, qualora sia strettamente necessario anche in considerazione della loro età, l'audizione dei figli minori».

Il codice di procedura penale, all’art. 498, dettato per l’ESAME DIRETTO E CONTROESAME DEI TESTIMONI, al comma 4–ter  prevede che «l'esame del minore vittima del reato ovvero del maggiorenne infermo di mente vittima del reato viene effettuato, su richiesta sua o del suo difensore, mediante l'uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico».

Passando ora a considerare l’applicazione delle norme passate in rassegna è opportuno ricordare come la SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, con sentenza 27 luglio 2007, n. 16753, riferendosi alla sopra citata CONVENZIONE EUROPEA SULL'ESERCIZIO DEI DIRITTI DEI MINORI  [con particolare riferimento all’articolo 1, Campo di applicazione e oggetto della Convenzione, comma 3, laddove è previsto che i procedimenti che interessano i minori dinanzi ad un'autorità giudiziaria sono i procedimenti in materia di famiglia, in particolare quelli relativi all'esercizio delle responsabilità genitoriali, trattandosi soprattutto di residenza e di diritto di visita nei confronti dei minori] ha chiarito come «le disposizioni di detta convenzione relative all'ascolto del minore per la loro valenza di principio sono suscettibili di influenzare l'attività interpretativa del giudice anche nei procedimenti che si collocano al di fuori dell'elenco di cui sopra».

Esaurita la rassegna inerente alle fonti normative che prevedono l’audizione del minore ed ai principi guida dell’interpretazione di esse, è possibile, ora, isolare e chiarificare gli ambiti di incidenza dell’istituto.

Procedendo dal profilo del possibile pregiudizio che al minore stesso può derivare dall’impiego stesso dell’ascolto la giurisprudenza afferma che «nel giudizio di separazione dei genitori, non va disposto l'ascolto del figlio ex art. 155-sexies, 1° co., c.c., se pregiudizievole per l'interesse ad un equilibrato sviluppo psico–fisico del minore»,  e che «è obbligatoria l'audizione del minore dotato di discernimento nelle procedure giudiziarie aventi ad oggetto il suo affidamento, salvo che la stessa possa essere in contrasto con i suoi interessi fondamentali».  «La procedura di audizione contemplata dall'art. 498, comma 4, c.p.p. è prevista a tutela del minore e non certo dell'imputato. Altresì, la violazione di tale modalità di audizione non implica alcuna nullità».
«In tema di incidente probatorio, è consentito al giudice che procede all'audizione di un minore infrasedicenne per reati in materia di prostituzione e violenza sessuale, disporre l'assunzione della testimonianza in forma scritta (con domande orali e risposte scritte) quando questa modalità appare necessaria per tutelare la fragile psicologia del teste e la genuinità della deposizione»
«In tema di reati contro la libertà sessuale, le dichiarazioni rese dal minore al perito e registrate sono utilizzabili anche senza la sua audizione diretta, qualora quest'ultima sia idonea a turbare il suo equilibrio psichico.
(Rigetta, App. Torino, 11 Ottobre 2005)».  «L'ascolto del minore infradodicenne, nelle controversie tra i genitori che li concernono, va disposto allorché il minore presenti capacità di discernimento, e sempre che corrisponda all'interesse del minore stesso: pertanto, allorché questi abbia in precedenza manifestato stragiudizialmente il desiderio di non essere coinvolto nella vicenda che pur lo riguarda, il Giudice può decidere prescindendo da tale incombente (nella specie i genitori separati controvertevano se impartire o meno un'educazione religiosa ad un bambino di circa dieci anni di età, il quale però aveva chiaramente manifestato la propria intenzione di non essere coinvolto nella controversia; la Corte allora, anche al fine di evitargli un inutile turbamento, ha ritenuto non utile l’ascolto (…)».  «Pur involgendo l'aspetto delle modalità di ascolto del minore profili inevitabilmente connessi alla discrezionalità del giudice del merito procedente, l'audizione, intesa come strumento per raccogliere le opinioni del minore avente un discernimento sufficiente e per dare forma al diritto dello stesso di partecipare alla sua tutela attraverso un interlocutore che lo ascolta e che lo considera in ciò che dice, postula che il minore riceva le informazioni pertinenti ed appropriate con riferimento alla sua età e al suo grado di sviluppo, a meno che tali informazioni nuocciano al suo benessere».
A questo proposito è utile ricordare le già citate LINEE GUIDA DEL COMITATO DEI MINISTRI DEL CONSIGLIO D’EUROPA PER UNA GIUSTIZIA A MISURA DI BAMBINO  che, al paragrafo 116, prevedono come «Pur essendo vero che sussiste il rischio che i minori siano manipolati quando sono ascoltati ed esprimono i loro punti di vista (per esempio, da un genitore contro l’altro), si dovrebbe compiere ogni sforzo per evitare che tale rischio pregiudichi questo diritto fondamentale»  e che «le informazioni e la consulenza dovrebbero essere fornite ai minori in una maniera adatta alla loro età e al loro grado di maturità, in un linguaggio che essi possano comprendere e che tenga conto della cultura e del genere. Di norma, le informazioni dovrebbero essere fornite sia al minore sia ai genitori o ai legali rappresentanti. La comunicazione delle informazioni ai genitori non dovrebbe costituire un’alternativa alla comunicazione delle informazioni al minore».  Il possibile pregiudizio per il minore potrebbe consigliare di astenersi dall’impiego di questo strumento processuale, come avvenuto in un’ipotesi disciplinata dal «procedimento previsto dalla legge n. 64 del 1994 (di ratifica della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980)»  laddove «in tema di sottrazione internazionale di minori, l'accertamento circa il grado di maturità del minore ovvero l'assenza di condizioni che gli evitino traumi è rimesso al giudice di merito, ai sensi dell'art. 7, comma 3, della legge 15 gennaio 1994, n. 64, che è tenuto a valutare, anche in ragione del carattere urgente e ripristinatorio della procedura, se sia opportuna, per il grado di discernimento raggiunto, la sua audizione; ne consegue che nessuna violazione del diritto di difesa del minore è ravvisabile nella statuita inopportunità della sua audizione, giustificata in ragione della sua tenera età (nella specie quattro anni) e della esposizione a forti pressioni, restando comunque garantito, in via indiretta, tale diritto attraverso le osservazioni del servizio sociale. (Rigetta, Trib. Minorenni Milano, 23/12/2011)».  Analoga decisione può adottarsi anche nell’ambito dei provvedimenti di affidamento dei minori, che può essere disposto «anche omettendo la preventiva audizione del minore, qualora lo stesso abbia un'età tanto tenera da non poter valutare, con sufficiente discernimento, la propria situazione familiare, e possedere un concreto livello di consapevolezza circa il proprio affidamento».  Questo orientamento è confermato dalla Suprema Corte di Cassazione che, a Sezioni Unite, ha sancito che «il minore del cui affidamento deve disporsi deve essere ascoltato in giudizio, salvo che ciò possa essere in contrasto con i suoi interessi o che manchi il requisito del suo discernimento, la cui assenza deve comunque essere valutata e motivata per giustificarne l'omesso ascolto».  Naturalmente quando non possa ricorrersi all’ascolto, proprio per garantire il minore, non può farsi ricorso a strumenti alternativi che non siano compatibili con le garanzie del processo, come ad es., le «dichiarazioni dei minori registrate da uno dei genitori su un supporto audiovisivo (CD/DVD), in quanto non vi è alcuna garanzia su come tali dichiarazioni siano state raccolte e vi sono serie perplessità sulla loro genuinità, non essendo state neppure integrate con la testimonianza del terzo ai sensi dell'art. 2702 cod. civ., non costituendo testimonianza scritta (ammessa dalla legge 18 giugno 2009, n. 69) e non risultando comunque che il padre abbia dato il consenso alla stessa».

Sembra, a questo punto, davvero lontana quella pronuncia che, aggirando le garanzie sostanziali e processuali del minore, del quale fosse stato comunque effettuato l’ascolto,  leggeva l'articolo 13, comma 2, della Convenzione in materia di rimpatrio dei minori, aperta alla firma a L'Aja il 28 maggio 1970,  concernente il caso di opposizione del minore all'ordine di rimpatrio, come una norma che «subordina la rilevanza da attribuire al rifiuto del minore al raggiungimento di una certa età, al di sotto della quale, secondo nozioni di comune esperienza è sconsigliabile dare peso alla sua opinione, se contrastante con la presunzione del prevalente interesse del minore a ritornare presso l'affidatario al quale è stato sottratto, nozioni di comune esperienza e prudenza, come quelle riferibili all'età del soggetto e all'esigenza di evitargli ulteriori traumi psichici, e tenuto conto anche delle ragioni di economia processuale».  Oggi «costituisce, pertanto violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo il mancato ascolto che non sia sorretto da espressa motivazione sull'assenza di discernimento che ne può giustificare l'omissione, in quanto il minore è portatore d'interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore, in sede di affidamento e diritto di visita e, per tale profilo, è qualificabile come parte in senso sostanziale. (Cassa con rinvio, App. Roma, 23/07/2008)».

In questo ambito logico di opportunità o necessità dell’ascolto, il tema centrale è in sostanza quello inerente all’opzione dell’ascolto indiretto: nell'ambito, ad es., del procedimento di adozione in casi particolari «pur essendo obbligatoria l'audizione del minore, tanto da rendere invalido - in sua mancanza - il provvedimento assunto, tuttavia non sono indicate le modalità dell'ascolto del minore, che potrà essere sentito dal Giudice direttamente o tramite un ausiliare,  psicologo o educatore, che riferirà anche in ordine alla sua capacità di discernimento».  L’obiettivo è quello di garantire «l'esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione, e quindi con tutte le cautele e le modalità atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti, ivi compresa la facoltà di vietare l'interlocuzione con i genitori e/o con i difensori, nonché di sentire il minore da solo, o ancora quella di delegare l'audizione ad un organo più appropriato e professionalmente più attrezzato. (Rigetta, App. Catania, 16/04/2009)».
In modo particolare «l'incarico di esperto per lo svolgimento della funzione di sostegno in favore del minore vittima di abusi sessuali non è incompatibile con quello di esperto per una valutazione sullo stesso minore a fini giudiziari. (La Corte ha precisato che le raccomandazioni contenute nelle Linee Guida Nazionali per l'ascolto del minore del 2010, ed in quelle della cosiddetta Carta di Noto e della Società Italiana di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza - SINPIA - sono prive di efficacia precettiva). (Rigetta, App. Milano, 15/11/2010)».
Peraltro, sempre in ipotesi «procedimento di abuso sessuale a danno di minore in età prescolare (nel caso di specie trattasi di minore di tre anni, affetto da "mutacismo elettivo")» si è ritenuto che «non può essere considerata sufficiente la consulenza della psicologa incaricata dell'analisi delle dichiarazioni di minore, quando tale consulenza non rispetti quelli che notoriamente sono i criteri di audizione dei minori abusati secondo la c.d. "Carta di Noto", ormai generalmente adottata, non essendo stati registrati, volta per volta, gli incontri con il bambino allo scopo di poter verificare le modalità ed il contenuto degli stessi. Il mancato rispetto della tecnica di documentazione rappresenta un vizio metodologico dell'assunzione della prova, che non può essere controllata».

Opportunità e prudenza suggeriscono di evitare regole da applicarsi rigidamente a tutti i casi: si può rilevare l’opportunità di una consulenza tecnica del giudice, la quale lascia l’operatore del diritto in contatto diretto con l’audizione e non interponendosi ad essa, con ciò facendo operare in contemporanea la cognizione del procedimento e delle sue esigenze di accertamento con il benessere del bambino e la genuinità della sua partecipazione. La consulenza favorisce anche l’interfacciarsi del lavoro del giurista con le implicazioni indirette ma inevitabili sotto il profilo psicologico (oltre che favorire l’efficacia delle modalità della comunicazione) in tal modo impreziosendo e incrementando la multidisciplinare esperienza del professionista operatore del diritto.

Il terzo profilo rilevante nella griglia che si sta esaminando attiene al rapporto tra l’ascolto del minore, carico delle esigenze di tutela del medesimo, e il processo. La Corte di Giustizia della Comunità Europea, con sentenza in data 16 giugno 2005, n. 105, ha disposto che «Gli artt. 2, 3 e 8 della Decisione n. 2001/220/GAI del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, devono essere interpretati nel senso che al giudice nazionale deve essere consentito disporre che l'esame del minore, vittima di maltrattamenti, avvenga al di fuori e prima dell'udienza, in modo da impedire la perdita degli elementi di prova evitando le conseguenze pregiudizievoli connesse alla deposizione in pubblica udienza, purché le modalità dell'audizione siano compatibili con i principi fondamentali dell'ordinamento dello Stato membro interessato e con i diritti fondamentali garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, tra cui in particolare il diritto ad un processo equo».  Indirizzo, in qualche occasione, fatto proprio anche dal Giudice nazionale che, con riferimento alla «necessità di acquisire, quando è possibile, il racconto della vittima, il cui apporto nella ricostruzione dei fatti è infungibile essendo l'unico testimone diretto. A tal fine, l'opzione migliore, anche se non imposta dalla legge, è costituita dall'attivazione dell'incidente probatorio (sede privilegiata di audizione del minore), nel quale disporre la perizia per verificare la capacità del bambino di testimoniare ed, indi, assumere le dichiarazioni della vittima».  E non mancano pronunce nelle quali è previsto che «il potere discrezionale del presidente di intervenire nell'esame del teste al fine di assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell'esame, la correttezza delle contestazioni (art. 499, comma 6, c.p.p.) deve essere particolarmente pregnante, considerate la naturale fragilità emotiva e le scarse capacità critiche connesse all'età del teste». 



Sempre in ambito di relazione tra ascolto e processo, ma procedendo oltre, verso l’utilizzo dei provvedimenti ottenuti coni il contributo dell’ascolto, «il mancato ascolto del minore, nei procedimenti di separazione o di divorzio dei genitori, integra un'ipotesi di nullità del provvedimento di affidamento della prole minore»  in quanto «costituisce una violazione del principio del contraddittorio e dei principi che regolano il giusto processo».
Con riferimento all’ultimo profilo inerente alla possibile non coincidenza tra l’interesse del minore e quanto dal medesimo manifestato, l’opinione che il minore manifesta nel quadro dell’ascolto entra comunque a far parte del contenuto dei provvedimenti del giudice, secondo quanto emerge dall’orientamento della recentissima sentenza della Corte di Cassazione, adottata il 17 maggio 2012, secondo la quale «i provvedimenti in materia di affidamento non possono consistere in forzate sperimentazioni, nel corso delle quali (…) le reali ed attuali esigenze della prole vengono sacrificate al tentativo di conformare i comportamenti dei genitori a modelli tendenzialmente più maturi e responsabili, ma contraddetti dalla situazione reale già sperimentata. (..) Naturalmente le valutazioni del giudice, in quanto doverosamente orientate a realizzare l'interesse del minore, che può non coincidere con le opinioni dallo stesso manifestate, potranno in tal caso essere difformi: si impone, tuttavia, un onere di motivazione la cui entità deve ritenersi direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito al figlio».

Venendo alle conclusioni di tutto il ragionamento svolto, si può senz’altro rilevare come la legislazione e la giurisprudenza, nazionali e internazionali, risultano significativamente orientate a riconoscere al minore il ruolo di parte sostanziale e processuale che, in quanto portatore di interessi e diritti tutelati dalla legge, indiscutibilmente gli compete. Supporta ed esplicita questa conclusione, ad es., il Tribunale per Minorenni Trieste che, con il provvedimento del 14 dicembre 2011, ricorda che «l'audizione del minore è un suo preciso diritto garantito da norme nazionali e sovranazionali (…) del quale i genitori non possono disporre, trattandosi di un diritto del terzo; pertanto, solo il minore stesso, adeguatamente supportato da un curatore speciale, può procedere alla eventuale rinuncia a detto diritto»;  conclusione espressa anche dalla stessa Corte Costituzionale che, nella pronuncia del 11 marzo 2011 n. 83, per la quale «il minore infrasedicenne, nella vicenda sostanziale e processuale che lo riguarda, costituisce un centro autonomo di imputazione giuridica, essendo implicati nel procedimento suoi rilevanti diritti e interessi, in primo luogo quello all'accertamento del rapporto genitoriale con tutte le implicazioni connesse. Ne deriva che al detto minore va riconosciuta la qualità di parte nel giudizio di opposizione di cui all'art. 250 cod. civ. e, se di regola la sua rappresentanza sostanziale e processuale è affidata al genitore che ha effettuato il riconoscimento (artt. 317-bis e 320 cod. civ.), qualora si prospettino situazioni di conflitto d'interessi, anche in via potenziale, spetta al giudice procedere alla nomina di un curatore speciale. Il che può avvenire su richiesta del pubblico ministero, o di qualunque parte che vi abbia interesse (art. 79 cod. proc. civ.), ma anche di ufficio, avuto riguardo allo specifico potere attribuito in proposito all'autorità giudiziaria dall'art. 9, primo comma, della citata Convenzione di Strasburgo».  Tale indirizzo è stato fatto proprio anche dalla Corte di Cassazione, per la quale «nel procedimento previsto dall'art. 250, quarto comma, cod. civ. per conseguire una pronuncia che tenga luogo del mancato consenso del genitore, che abbia già riconosciuto il figlio infrasedicenne, al riconoscimento dello stesso minore da parte dell'altro genitore, deve essere disposta obbligatoriamente l'audizione del minore, atteso che questi assume la qualità di parte, come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 83 del 2011. (Cassa con rinvio, App. Salerno, 01/12/2010)».  Un orientamento che potremmo correttamente definire “europeo” quello delle nostre più alte Corti di Giustizia, ove si prosegua, secondo l’indirizzo, tracciato dalle già più volte citate LINEE GUIDA DEL COMITATO DEI MINISTRI DEL CONSIGLIO e si arrivi prevedere una vera e propria assistenza tecnica per il bambino che partecipi a procedimenti che lo riguardano e che, come tali, richiedono la garanzia processuale della tutela di interessi che potrebbero trovarsi in conflitto o, più semplicemente, essere oscurati rispetto a quelli di altri soggetti che partecipino ai medesimi procedimenti. Le linee guida europee ai punti 37, 38, 40 e 41 indicano che «I minori dovrebbero avere il diritto di essere rappresentati da un avvocato in nome proprio, nei  procedimenti in cui vi è, o vi potrebbe essere, un conflitto di interessi tra il minore e i genitori o altre parti coinvolte; dovrebbero avere accesso al gratuito patrocinio, alle stesse condizioni previste per gli adulti o a condizioni meno restrittive; dovrebbero essere considerati clienti a pieno titolo con i loro diritti, e gli avvocati che li rappresentano dovrebbero farsi portavoce della loro opinione; gli avvocati dovrebbero fornire al minore tutte le informazioni e spiegazioni necessarie relativamente alle eventuali conseguenze dei suoi punti di vista e/o delle sue opinioni».

Sulla strada della tutela dell’interesse del minore nei procedimenti che lo riguardano, rimane pertanto da completare un ultimo tratto, quello dell’assistenza tecnica, fornita da un avvocato.

Forse anche con una certa urgenza, visto che sono stati necessari oltre quarant’anni perché prendesse forma concreta l’intuizione di un magistrato del Tribunale di Bologna che, nel lontanissimo 1972, scriveva che «nell'ambito familiare il dovere di ascolto del minore, e di considerazione delle sue opinioni, non è espressamente affermato ma si ricava chiaramente dalla disposizione che sancisce per i genitori l'obbligo di svolgere la propria funzione educativa tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli (art. 147 cod. civ.). La violazione da parte dei genitori di questo precetto può comportare interventi del giudice limitativi o ablativi della potestà genitoriale».  Se il processo è strumento di attuazione del diritto sostanziale, e vi sono molteplici ed assai articolati procedimenti giudiziari che scaturiscono da una crisi della corretta attuazione dei doveri dei genitori nei confronti dei figli e/o nelle ipotesi di conflitto di interessi con gli stessi, non si vede perché in detti procedimenti non debba essere prevista un’assistenza tecnica per il minore.

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NOTE

[1] www.coe.int/children
[3]http://www.giustizia.it/giustizia/it/contentview.wp?previsiousPage=mg_2_5_10&contentId=ART49398

[4] http://www.giustizia.it/giustizia/it/contentview.wp?previsiousPage=mg_2_5_10&contentId=ART49398
[5] http://conventions.coe.int/Treaty/en/Treaties/Html/071.htm: European Convention on the Repatriation of Minors - The Hague, 28.V.1970
[6] Cass. civ. Sez. I, 19-12-2003, n. 19544 in Riv. Dir. Internaz. Priv. e Proc., 2004, 1050;
[7] http://conventions.coe.int/Treaty/EN/Treaties/PDF/160-Italian.pdf

[9] www.coe.int/children: Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa
per una giustizia a misura di bambino adottate dal Consiglio d’Europa il 17 novembre 2010 – pag. 39;
[10] Cass. civ. Sez. Unite, 21-10-2009, n. 22238, in Riv. Dir. Internaz. Priv. e Proc., 2010, 2, 474;
[11] L’ASCOLTO DEL MINORE NEI PROCEDIMENTI CIVILI. RIFERIMENTI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI E PROSPETTIVA DELLA DIFESA, A cura di Maria Giovanna Ruo, Avvocato;

[12] Corte di Cassazione, con sentenza 27 luglio 2007, n. 16753, in Riv. Dir. Internaz. Priv. e Proc., 2008, 3, 745
[13] Tribunale di Termini Imerese, 09 giugno 2011,in Fam. Pers. Succ., 2011, 12, 862.
[14] Cass. civ. Sez. I, 19-05-2010, n. 12293, in Foro It., 2011, 10, 1, 2766
[15] App. Trento, 11-05-2012, Massima redazionale, 2012, Banca Dati Dea
[16] Cass. pen. Sez. III, 25-05-2004, n. 33180, Riv. Pen., 2005, 1010, Arch. Nuova Proc. Pen., 2005, 609
[17] Cass. pen. Sez. III Sent., 14-06-2007, n. 35728, CED Cassazione, 2007
[18] App. Milano, 21-02-2011, in Corriere del Merito, 2012, 1, 32 nota di CASABURI
[19] Cass. civ. Sez. I Sent., 27-07-2007, n. 16753, Nuova Giur. Civ., 2008, 3, 1, 373 nota di PAZÉ
[20] www.coe.int/children
[21] www.coe.int/children
[22] www.coe.int/children

[23] Cass. civ. Sez. I, 23-01-2013, n. 1527 CED Cassazione, 2013
[24] Cass. civ. Sez. I, 23-01-2013, n. 1527 CED Cassazione, 2013
[25] Trib. Potenza Dec., 07-11-2007, in Famiglia e Diritto, 2008, 11, 1034 nota di ARCERI
[26] Cass. civ. Sez. Unite, 21-10-2009, n. 22238, in Riv. Dir. Internaz. Priv. e Proc., 2010, 2, 474;
[27] Trib. Minorenni Milano Decreto, 16-01-2011, in Riv. Dir. Internaz. Priv. e Proc., 2011, 2, 484
[29] Cass. civ. Sez. I, 19-12-2003, n. 19544, in Mass. Giur. It., 2003, Arch. Civ., 2004, 1235, Gius, 2004, 2212, Guida al Diritto, 2004, 9, 33
[30] Cass. civ. Sez. Unite, 21-10-2009, n. 22238, Mass. Giur. It., 2009 – CED Cassazione, 2009 - Riv. Dir. Proc., 2010, 6, 1415 nota di DANOVI
[31] Codice di Procedura Civile. 68. Altri ausiliari.

Nei casi previsti dalla legge o quando ne sorge necessità il giudice, il cancelliere (1) o l'ufficiale giudiziario si può fare assistere da esperti in una determinata arte o professione e, in generale, da persona idonea al compimento di atti che egli non è in grado di compiere da sé solo [c.p.c. 122, 123, 124, 212, 261, 421, 442, 518, 535, 568, 773]. Il giudice può commettere a un notaio il compimento di determinati atti nei casi previsti dalla legge [c.p.c. 733, 765, 769, 786, 790, 791].

Il giudice può sempre richiedere l'assistenza della forza pubblica [c.p.c. 755].

[32] Cass. civ. Sez. I, 19-10-2011, n. 21651, in Fam. Pers. Succ., 2012, 6, 426 nota di GORINI

[33] Cass. civ. Sez. I, 26-03-2010, n. 7282, CED Cassazione, 2010 Famiglia e Diritto, 2011, 3, 268 nota di QUERZOLA;

[34] Cass. pen. Sez. IV, 18-10-2011, n. 44644 , CED Cassazione, 2011

[35] Cass. pen. Sez. IV, 08-06-2006, n. 32281, in Arch. Nuova Proc. Pen., 2007, 5, 595 nota di FORZA
[36] Corte di Giustizia della Comunità Europea, 16 giugno 2005, n. 105Foro It., 2006, 11, 4, 585 nota di ARMONE;

[37] Cass. pen. Sez. III, 11-06-2009, n. 30964, in Giur. It., 2010, 6, 1421 nota di APRATI
[38] Cass. pen. Sez. III, 15-11-2002, n. 1048, Riv. Pen., 2003, 908, Arch. Nuova Proc. Pen., 2003, 499
[39] Trib. Terni, 31-07-2007, Giur. It., 2008, 5, 1142 nota di DELL'UTRI
[40] Cass. civ. Sez. Unite, 21-10-2009, n. 22238, Riv. Dir. Proc., 2010, 6, 1415 nota di DANOVI
[41] Cass. civ. Sez. I, 17-05-2012, n. 7773, Sito Il caso.it, 2012
[42] Trib. Minorenni Trieste, 14-12-2011, Corriere del Merito, 2012, 7, 657 nota di ATTADEMO
[43] Corte cost., 11-03-2011, n. 83, Sito uff. Corte cost., 2011

[44]Cass. civ. Sez. I, 13-04-2012, n. 5884, CED Cassazione, 2012
[45] Trib. Bologna, 13-05-1972, Massima redazionale, 1972

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