lunedì 5 ottobre 2015

IL TENTATIVO OBBLIGATORIO DI MEDIAZIONE DEVE ESSERE ESPERITO DALL'OPPONENTE AL DECRETO INGIUNTIVO

Il caso

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, viene sollevata dall’opposto l’eccezione di improcedibilità dell’opposizione per non aver partecipato personalmente l’opponente al primo incontro di mediazione, conclusosi poi con un verbale negativo. Prima di verificare se la presenza delle parti all’incontro di mediazione sia necessaria per realizzare la condizione di procedibilità ex art. 5 d. lgs. 28/2010, il provvedimento in commento esamina la questione relativa al soggetto interessato ad esperire la procedura di mediazione nel giudizio ex art. 645 c.p.c.. In particolare si pone il dubbio se la sanzione dell’improcedibilità colpisca la domanda originariamente proposta in sede monitoria, con conseguente inefficacia del provvedimento di ingiunzione, ovvero se estingua il giudizio di opposizione, con consequenziale definitività del decreto.

Il Tribunale di Chieti conclude per la seconda soluzione, individuando nel soggetto opponente l’interessato alla proposizione dell’istanza di mediazione obbligatoria


La mediazione delegata obbligatoria

Il testo oggi vigente dell’art. 5 d. lgs. 28/2010, frutto da ultimo della riforma attuata con d.l. 69/2013, convertito in l. 98/2013, prevede che la mediazione sia obbligatoria oltre che per le materie indicate al primo comma della stessa norma, anche quando sia il giudice a delegare ad un organismo di mediazione l’espletamento del tentativo di conciliazione. Nelle ipotesi predette, l’esperimento del tentativo di mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, sicchè ove le parti interessate non vi ottemperino, il giudice dovrà chiudere il processo con una pronuncia in rito.

La scelta per una condizione di “procedibilità” piuttosto che di “proponibilità” della domanda giudiziale è stata accolta con favore dal momento che in questo modo si possono considerare superati i problemi di compatibilità tra l’istituto in esame e l’art. 24 Cost (in dottrina v. per tutti, Tiscini, La mediazione civile e commerciale, Torino, 2011). Perché un filtro di accesso alla giustizia possa considerarsi legittimo la Consulta ha ribadito che esso deve atteggiarsi come condizione di “procedibilità” non anche di “proponibilità” della domanda giudiziale: la prima integra un presupposto processuale la cui mancanza è sanabile con efficacia retroattiva; la seconda impone invece un requisito di validità della domanda, la cui mancanza originaria non consente una sanatoria con efficacia ex tunc.

Ne consegue che il meccanismo previsto dall’art. 5 d. lgs. 28/2010 non confligge con il dato costituzionale. Vi è più che il legislatore ha previsto che la mediazione obbligatoria non operi quando la parte voglia avvalersi di forme di tutela sommaria e urgente, quali ad esempio quella cautelare o quella di ingiunzione. In particolare, con riferimento ai procedimenti per ingiunzione, il comma 4 dell’art. 5 cit. prevede che la condizione di procedibilità non trovi applicazione nella fase monitoria e in quella di opposizione fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione.
Ratio dell’esclusione del rito monitorio dalla obbligatorietà del tentativo di mediazione è quella di evitare che in un procedimento caratterizzato dalla rapidità e assenza di contraddittorio si imponga ex lege un incompatibile rallentamento.

Il termine a partire dal quale riprende vigore la via conciliativa coincide con quello in cui il giudice decide sulle istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione. Anche qui la ratio della regola è comprensibile: tanto la decisione sulla sospensione quanto quella sulla concessione della provvisoria esecuzione sono provvedimenti connotati dall’urgenza e perciò incompatibili con l’esperimento del tentativo di mediazione.


L’onere di proposizione del tentativo di mediazione

Stabilita la regola secondo cui la condizione di procedibilità torna in vigore dopo l’udienza sulla concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, la legge tace in ordine al soggetto su cui incombe l’onere di proposizione del tentativo di conciliazione.
Negli ordinari processi di cognizione, il soggetto interessato alla realizzazione della condizione di procedibilità è sempre colui che vuole ottenere dal processo un provvedimento di merito che decida sul proprio diritto (di norma l’attore o, per l’ipotesi di domanda riconvenzionale, anche il convenuto). Sicchè chi propone una domanda in giudizio verosimilmente proporrà l’istanza di mediazione, onde evitare di incorrere nella sanzione dell’improcedibilità della domanda stessa.

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, per effetto dell’inversione dell’iniziativa processuale, non è chiaro chi sia effettivamente il soggetto interessato a non incorrere nella sanzione prevista dall’art. 5 d. lgs. 28/2010. Occorre in altre parole stabilire se l’improcedibilità colpisca l’originaria domanda monitoria, con conseguente onere dell’opposto (attore in senso sostanziale) di instaurare la procedura conciliativa, ovvero il giudizio di opposizione a decreto, imponendo all’opponente di espletare il tentativo di mediazione.

Quest’ultima soluzione farebbe leva sul fatto che l’opponente, convenuto sotto il profilo sostanziale, è tenuto a instaurare e tenere in vita il giudizio a cognizione piena dal momento che, in caso di estinzione del processo, si consoliderebbero gli effetti del decreto ingiuntivo opposto a suo danno.

Dall’altra parte però vi è chi osserva che l’improcedibilità colpisce la domanda giudiziale che, nel procedimento per ingiunzione, così come nel giudizio di opposizione, è e resta sempre quella avente ad oggetto la pretesa sostanziale creditoria posta alla base del ricorso per decreto ingiuntivo.

In altre parole, l’atto di opposizione, non rappresenterebbe un’iniziativa processuale autonoma, ma sarebbe la reazione difensiva del convenuto all’impulso procedimentale altrui. Sicchè l’interesse a proporre il tentativo di conciliazione sarebbe sempre in capo all’opposto. D’altra parte, gravare l’opponente della proposizione della mediazione creerebbe uno squilibrio irragionevole ai danni del debitore che, non solo subisce l’ingiunzione di pagamento in assenza di contraddittorio, nonché la scelta per il rito sommario, ma, nella successiva fase di opposizione, verrebbe pure a subire un ulteriore onere che, se l’attore avesse scelto il processo a cognizione piena, non gli sarebbe spettato.

Da non sottacere è poi il fatto che l’eventuale mancanza di un presupposto processuale generale riscontrata dal giudice dell’opposizione conduce di regola all’emissione di una pronuncia in rito con la quale il decreto ingiuntivo viene revocato.


La soluzione adottata

Il Tribunale di Chieti prende però le distanze dalla soluzione appena prospettata, ritenendo, al contrario, che l’interesse a proporre il tentativo di mediazione obbligatorio sorga in capo all’opponente. Il giudice abruzzese aderisce quindi all’opzione in forza della quale l’improcedibilità colpisce l’opposizione determinando il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo.

Ciò in quanto il mancato esperimento del tentativo di mediazione costituirebbe una forma di inattività delle parti, cui di norma consegue l’estinzione del processo. Quest’ultima, quando si verifica nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, determina la definitività del decreto e l’acquisto della sua efficacia esecutiva.

Sotto tale profilo, osserva la sentenza in commento, vi sarebbe un’analogia tra il procedimento di opposizione ad ingiunzione e il giudizio di appello, comportando l’estinzione, in entrambi i casi, la definitività del provvedimento impugnato.

Inoltre, accogliendo la soluzione opposta, si rischierebbe, secondo il giudicante, di vanificare la funzione deflattiva della mediazione, poiché in caso di improcedibilità della domanda e di caducazione del decreto ingiuntivo, il creditore potrebbe – ferme restando prescrizioni e decadenze eventualmente maturate – riproporre una nuova domanda monitoria ovvero una domanda a cognizione piena per lo stesso credito.

Ritiene infine che nessuna disparità irragionevole sia ravvisabile nel fatto che si crei un ulteriore onere per il debitore (oltre a quello di attivazione del giudizio di opposizione, subordinato alla scelta discrezionale del creditore sul rito), dal momento che i costi della procedura sono piuttosto esigui e addirittura, dopo l’ultima riforma, perfino azzerati (poiché la condizione di procedibilità della domanda giudiziale si considera avverata se al primo incontro non si raggiunge l’accordo e, in tal caso, nessun compenso è dovuto all’organismo di mediazione).

L’interesse a promuovere il tentativo di conciliazione per non incorrere nella sanzione dell’improcedibilità graverà perciò sull’opponente.

Tuttavia il Tribunale ritiene che, sebbene l’interesse sia del debitore, il giudice sia tenuto solo a verificare che il tentativo sia stato espletato, restando indifferente del tutto, una volta accertata la regolare proposizione della domanda di mediazione, seppur con esito negativo della procedura, chi sia stato il soggetto in concreto proponente il tentativo. In altri termini, appurato l’avverarsi della condizione prevista dall’art. 5 d. lgs. 28/2010, resta irrilevante di chi sia stata l’iniziativa nella fase conciliativa.

Quanto al momento in cui la condizione che rende procedibile la domanda si considera realizzata, il giudicante ritiene che esso possa coincidere con la redazione di un verbale negativo che fa seguito alla presentazione di un’istanza conciliativa, non essendo invece necessario che le parti si presentino personalmente all’incontro. D’altra parte la legge richiede solo che il tentativo sia “esperito”; il che, per la sentenza in commento, si ha con la mera proposizione della domanda di conciliazione.


Esito del giudizio:
Rigetto dell’eccezione di improcedibilità


Riferimenti normativi:
Artt. 645 c.p.c.; art. 5 d. lgs. 28/2010


Fonte: quotidianogiuridico.it
Autore: Avv. Paola Licci

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