lunedì 28 gennaio 2013

INAUGURAZIONE DELL'ANNO GIUDIZIARIO 2013: IL PRESIDENTE DELLA CORTE DI CASSAZIONE PARLA DEI SISTEMI ADR

In occasione dell'Inaugurazione dell'anno giudiziario 2013 il Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione Ernesto Lupo legge la Relazione sull'Amministrazione della Giustizia nell'anno 2012 e dedica un intero paragrafo alla Mediazione Civile. Riportiamo di seguito l'intero capitolo che delinea un profilo assolutamente positivo dell'istituto della mediazione civile.

"Gli strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione (ADR), pur non potendo essere considerati direttamente come strumenti generali di deflazione del contenzioso, ma costituendo più propriamente forme di risposta a domande di giustizia di particolare natura, possono certamente fornire un contributo alla riduzione dell'accesso alle corti o quanto meno alla riduzione del numero delle decisioni giudiziarie. Nella valutazione di tali strumenti, la CEPEJ ha individuato tre diverse tipologie di procedimento, la
mediazione, la conciliazione e l'arbitrato, non sempre presenti negli ordinamenti di tutti gli Stati e spesso differenziate secondo criteri diversi (ad esempio, il patteggiamento della pena è considerato una forma di mediazione in Francia, ma non in Italia e nei Paesi Bassi). La previsione di ADR è comunque in continua espansione, anche se diverse sono le materie per le quali esse sono previste e le forme nelle quali si realizzano: in particolare, l'ordinamento italiano esclude dalla mediazione gli affari amministrativi e, al pari di quello della Germania e del Regno Unito, anche gli affari penali, mentre l'ordinamento francese e quello spagnolo ammettono la mediazione per tutti gli affari.
Com'è noto, con sentenza n. 272 del 2012 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, emanato dal Governo in attuazione della delega conferita dall'art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, nella parte in cui, nel disciplinare la mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, prevedeva, all'art. 5, comma 1, l'obbligatorietà del ricorso a tale strumento alternativo di definizione delle controversie, condizionando, in numerose tipologie di controversie civili, la procedibilità della domanda giudiziale al preventivo esperimento del procedimento di mediazione.
Nelle precedenti relazioni sull'amministrazione della giustizia, pur esprimendosi qualche riserva in ordine alla disciplina specificamente dettata dal decreto legislativo, in particolare con riguardo alla genericità dell'indicazione delle categorie di controversie assoggettate all'obbligo di mediazione, si era formulato un giudizio complessivamente positivo in ordine all'istituto in esame, evidenziandosi l'idoneità dello stesso a favorire una riduzione della durata dei processi civili attraverso la rimozione della principale causa di tale fenomeno, comunemente individuata nell'incapacità del nostro sistema giudiziario di far fronte ad una domanda di giustizia in costante crescita.
La brevità del periodo in cui la normativa ha avuto applicazione nel suo testo originario non ha consentito di verificare appieno la fondatezza di tali auspici, soprattutto con riguardo alle controversie in materia di condominio e risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, per le quali l'obbligo della mediazione è entrato in vigore soltanto il 20 marzo 2012 (a differenza delle controversie in materia di diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, per le quali ha trovato applicazione dal 21 marzo 2011). Ciò che può dirsi, peraltro, sulla base dei dati statistici forniti dal Ministero della giustizia (DGStat), è che il procedimento in questione ha avuto ampia applicazione non solo nelle controversie, come quelle in materia di diritti reali (19,3% dei casi), locazione (12,7% dei casi), divisione (5,6% dei casi), successioni ereditarie (3,3% dei casi), in cui il raggiungimento di un accordo tra le parti è agevolato dalla natura personale dei rapporti intercorrenti tra le parti e dal carattere non seriale degli interessi coinvolti, ma anche nelle controversie che, come quelle in materia di contratti bancari (9,1% dei casi) e assicurativi (8,3% dei casi), investono prevalentemente rapporti di massa.
L'efficacia deflativa dell'istituto trova poi conferma nella costatazione che, là dove le parti vi hanno fatto ricorso, esso si è rivelato realmente capace di favorire una soluzione conciliativa della controversia, avendo condotto ad una definizione concordata nel 46,4% dei casi.
Essendo però in quelli penali davanti al giudice di pace prevista invece una forma di conciliazione ad opera del giudice per i reati perseguibili a querela, che può realizzarsi anche attraverso interventi di mediazione di centri e strutture pubbliche (art. 29, commi 4 e 5, d. lgsl. 28 agosto 2000, n. 274).

Positivo sarebbe potuto risultare il giudizio anche in ordine al livello di adesione delle parti alla procedura, in costante incremento (dal 26% al 35,7%) dall'entrata in vigore del decreto legislativo fino al momento in cui l'obbligo della mediazione è divenuto applicabile anche alle controversie in materia di risarcimento dei danni derivanti da circolazione dei veicoli e natanti, se su tale dato non avesse pesato in misura determinante l'atteggiamento di sfiducia, se non addirittura di preconcetta opposizione, manifestato dalle compagnie di assicurazione, le quali si sono astenute sistematicamente dal comparire dinanzi ai mediatori.
Questi rilievi, unitamente alla considerazione che nel 16% dei casi le parti hanno scelto di percorrere la strada della mediazione senza esservi costrette da alcuna disposizione di legge, dovrebbero indurre a meditare approfonditamente sulla convenienza di abbandonare al proprio destino un istituto la cui disciplina, opportunamente rimodulata alla luce della pronuncia d'illegittimità costituzionale, potrebbe contribuire a fornire una risposta tempestiva ed efficace alle esigenze di tutela nei rapporti tra privati.
In tale prospettiva, pur dovendosi prendere atto che, come ritenuto dal Giudice delle leggi, l'obbligatorietà del ricorso alla mediazione, assunta dal legislatore delegato quale profilo caratterizzante nella disciplina dell'istituto, non trovava adeguato riscontro nei principi e criteri direttivi enunciati dalla legge delega, ispirati invece alla volontarietà dell'iniziativa e all'intento di promuoverne la diffusione mediante la previsione di incentivi di carattere fiscale, non può non osservarsi che la scelta di favorire l'utilizzazione di strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione risponde ad esigenze di deflazione del contenzioso e di miglioramento dell'accesso alla giustizia fatte proprie anche dagli organi dell'Unione europea
Significativa, al riguardo, è la circostanza che, nel rilevare il difetto di delega, la Corte costituzionale abbia avvertito la necessità di sottolineare il legame dell'art. 60 della legge n. 69 del 2009 e del d.lgs. n. 28 del 2010 con i seguenti atti comunitari: a) la risoluzione del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, avente ad oggetto la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione europea; b) la direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, nella quale si afferma esplicitamente che la mediazione «può fornire una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale», aggiungendosi che «gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti»; c) la risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2011, sui metodi alternativi di soluzione delle controversie in materia civile, commerciale e familiare, nella quale, pur escludendosi l'imposizione generalizzata di un sistema obbligatorio di ADR a livello di UE, si prevede la possibilità di valutare un meccanismo obbligatorio per la presentazione dei reclami delle parti al fine di esaminare la possibilità di ADR; d) la risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2011, nella quale, passandosi in rassegna le modalità con cui alcuni Stati membri hanno proceduto all'attuazione della direttiva sulla mediazione, si osserva che «nel sistema giuridico italiano la mediazione obbligatoria sembra raggiungere l'obiettivo di diminuire la congestione nei tribunali». Il problema è che l’aderente non è comparso nel 64,2% dei casi, onde la percentuale di quasi la metà si riferisce soltanto al 31,2% delle mediazioni iscritte.
E' pur vero che dai predetti atti non si desume alcuna opzione esplicita o implicita a favore del carattere obbligatorio della mediazione, in quanto il legislatore comunitario si è preoccupato soltanto di disciplinare le modalità secondo le quali il procedimento può essere strutturato, senza imporre né consigliare l'adozione del modello obbligatorio, ma limitandosi a stabilire che resta impregiudicata la legislazione che rende obbligatorio il ricorso alla mediazione (cfr. art. 5, comma 2, della direttiva 2008/52/CE). Peraltro, come ha rilevato lo stesso Giudice delle leggi, la Corte di giustizia UE, nella sentenza 18 marzo 2012, in causa C-317/08 ha riconosciuto, sia pure come obiter dictum e in riferimento a specifiche fattispecie, quantitativamente limitate e con una struttura peculiare, l'inesistenza di «un'alternativa meno vincolante alla predisposizione di una procedura obbligatoria, perché l'introduzione di una procedura extragiudiziale meramente facoltativa non costituirebbe uno strumento altrettanto efficace per la realizzazione degli obiettivi perseguiti».
La fine anticipata della legislatura ha impedito l'esame di proposte di modificazione della disciplina della mediazione, idonee a vincere le resistenze culturali nei confronti di modalità innovative di gestione dei conflitti civili, attraverso l'imposizione quanto meno iniziale dell'obbligatorietà del tentativo di conciliazione in alcune materie, magari temperata dalla previsione di una procedura meno gravosa nelle liti in cui esso ha minori chances di successo: mi riferisco, in particolare, alla proposta di rendere obbligatorio non il tentativo di conciliazione, ma solo quello di un incontro preliminare con il mediatore, al fine di valutare in concreto l'opportunità di procedere al tentativo, ovvero di porvi termine in quella sede, con costi e tempi decisamente inferiori.
Nell'attesa che il nuovo Parlamento prenda in esame proposte simili ed altre volte a favorire il ricorso alla mediazione, non può che ribadirsi quanto già affermato nelle relazioni sull'amministrazione della giustizia degli scorsi anni, e cioè che il successo d'interventi legislativi volti ad apprestare e promuovere l'utilizzazione di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie esige un forte coinvolgimento di tutti i potenziali attori del processo, e quindi non solo delle parti, cui si richiede «una salda fiducia nella possibilità di trovare un accomodamento dinanzi al mediatore», ma anche della classe forense, chiamata a recuperare «la vocazione alla conciliazione delle parti in conflitto, che il nostro ordinamento assegna all'avvocato come fisiologico ruolo funzionale alla piena realizzazione della tutela dei diritti». Neppure va sottovalutata l'importanza dell'iniziativa del giudice, la cui facoltà di invitare le parti a tentare la mediazione, finora sottoutilizzata (2,8% dei casi), potrebbe contribuire a promuoverne la diffusione, soprattutto se accompagnata da un adeguato monitoraggio degli esiti di tale invito.
La praticabilità di questi interventi è testimoniata dagli stessi dati statistici relativi al breve periodo di applicazione del decreto legislativo, dai quali risultano, oltre alla già menzionata disponibilità delle parti ad avvalersi della mediazione al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge, l'ampio ricorso dei contendenti all'assistenza legale (della quale si sono avvalsi l'84% dei proponenti e l'85% degli aderenti), che non ha rappresentato un ostacolo al conseguimento dei risultati positivi già segnalati (raggiungimento dell'accordo nel 46% dei casi), nonché i vantaggi derivanti dalla mediazione in termini di risparmio di tempo, o quanto meno l'inesistenza di svantaggi in termini di dilatazione dei tempi processuali (dal momento che la durata dei procedimenti non è risultata superiore ai 77 giorni, rispetto ad una durata del processo di primo grado che si aggira mediamente sui 1.066 giorni)."

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